domenica 22 marzo 2020

Giulio Miele - Il preludio


Viviamo costantemente nella storia, ma non ci siamo mai fermati a guardare. Mai ad ascoltare profondamente. Sì, nel profondo della vita. Mai l’abbiamo ritenuta così tragicamente sacra. Solo nella lotta, sul campo di battaglia il guerriero osserva la morte, e solo in quel caso combatte per la vita. Un ossimoro impareggiabile: “combattere per la vita”. Ma cosa è diventato il sacro per noi? Non abbiamo mai desiderato  ricercare la verità nella terra, in una mano, in una sera. Non l’abbiamo mai gustata in un altro essere. Siamo sempre stati convinti, presuntuosamente, che l’unica verità non dovesse provenire da un’emozione, da una lacrima, da qualcosa di concretamente visibile. Non la terra, ma il cielo. Ci siamo fatti abbandonare dalla nostra stessa natura. Dalla natura stessa. Abbiamo preferito disoccuparci, non prenderci cura egli eventi, di un giorno, di un sorriso. Gli anticorpi della terra si espandono, chiedono solo di essere ascoltati. Un nemico che mai prima d’ora avremmo creduto di dover affrontare. La morte delle persone non dovrà servire solo ad altra morte, ad altra sofferenza. Dalla carne viene carne, dalla morte può venire vita. E’ proprio l’essere inermi, l’essere assoggettati da un alone di mistero a farci crollare. Ma se l’uomo può solo debolmente affliggersi per gli eventi e non rafforzare lo spirito e la consapevolezza di se stesso, non siamo una razza che merita ancora di camminare eretta. Se l’intelligenza ci ha portato all’asservire il prossimo e la nostra casa, non meritiamo la vita. “Restiamo a casa”. Ma cosa vuol dire casa? La casa è una culla, la protezione. Qualcosa che onoriamo, che preserva la nostra vita. Ma abbiamo realmente onorato la nostra casa o la nostra vita? Siamo diventati ferro, ma ci siamo forgiati da soli il nostro destino. Se non capiremo la prova che la vita ha voluto darci, potranno essercene altre mille. Rimarremo aggrappati inutilmente alle nostre atmosferiche immaginette, ma mai alla gravità che ci àncora alla nostra casa. La casa che condividiamo tutti. Una terra incolta, che abbiamo abbandonato da tempo.

Il preludio

Un gelso fiorirà ancora
e nulla fermerà il suo ardore.
Un uomo volerà ancora,
senza ali – unicamente presente.
Libero.
La vertigine attanaglierà ancora
Il nostro stomaco.
Saremo ancora pervasi dall’errore,
ma consapevoli.
Mai si fermerà la nostra forza.
Ma se è luce ciò che seguiremo,
sarà di luce illuminata la strada.
Non terremo più a freno le dita,
per paura.
Non prostreremo mai più
gli occhi al cielo.
Ma alla terra secca daremo il seme,
la nostalgia di germogliare ancora.
Solo la simbiosi di guerrieri disarmati
fermerà la guerra.
Un unico scopo – un unico spirito.
Un’unica natura.
Mai più ricercheremo nel falso la saggezza,
la nostra salvezza.
Ma solo in noi – nelle nostre radici.

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