mercoledì 31 marzo 2021

Sofia Giangregorio - Blackface

 

Oggi più che mai, il razzismo è una tematica estremamente discussa su telegiornali e social media: sono all’ordine del giorno storie di aggressioni, omicidi e ingiustizie mosse puramente dall’odio contro chi, se pur così superficialmente, è considerato diverso; al solo sentire di tali racconti, sembra quasi di catapultarsi in un’epoca lontana in cui le discriminazioni sovrastavano qualsiasi tipo di interazione sociale. Nonostante oggigiorno azioni del genere siano condannate sempre più aspramente, soprattutto grazie all’intervento dei giovani attivisti - che è giusto ricordare saranno gli adulti del domani - molti gesti a scopo denigratorio ritenuti minori, se messi a confronto con la violenza fisica, sono stati normalizzati nella società odierna al punto da essere continuamente riproposti come una rappresentazione veritiera dell’intera comunità nera: si parla di blackface, fenomeno che fin dal secolo scorso ha colpito anche il panorama artistico italiano. La blackface, per definizione, è una pratica che affonda le sue origini nell’America del diciannovesimo secolo, e consiste nel truccarsi in modo marcatamente non realistico per assumere le sembianze stereotipate e caricaturali di una persona nera, specialmente in ambito teatrale. Al tempo, attori bianchi in scena indossavano stracci, un trucco così pesante da cambiare loro i connotati, esageravano il tono della voce e limitavano la capacità di linguaggio, alimentando in questo modo la già diffusa idea che le persone nere fossero pigre, ignoranti, pavide e lussuriose. Naturalmente, spettacoli del genere (i cosiddetti minstrel shows, tra cui si ricorda il “Jim Crow” del performer Thomas Rice, 1828) divertivano il pubblico bianco, che era così in grado di rafforzare stereotipi già radicati nella società e riconfermare la superiorità razziale, lasciando da parte la sofferenza e il dolore che accompagnava, nel frattempo, la schiavitù. 

Sarebbero molti gli episodi di blackface nel territorio italiano da elencare, proprio perché questa forma di discriminazione viene spesso non considerata tale e sorvolata per noncuranza o semplice ignoranza in merito; un esempio lampante risale all’epoca coloniale fascista, per mano del vignettista Enrico de Seta, o, in tempi più recenti, nella trasmissione “Zelig”, a scopo comico, o ancora nel “Tale e Quale Show”, programma in onda su Rai 1 che ha visto in numerose occasioni concorrenti bianchi dipingersi tutto il corpo per interpretare icone del panorama musicale mondiale. Un gesto di questo tipo sarebbe al giorno d’oggi inconcepibile negli Stati Uniti, ma passa inosservato in Italia, e ciò non fa altro che evidenziare, ancora una volta, l’ignoranza che domina incontrastata sul nostro paese. 

La blackface si porta alle spalle un passato crudele e doloroso, ed è a tutti gli effetti un problema reale di cui non si parla abbastanza, che va necessariamente combattuto in nome della libertà e del rispetto.

Sofia Giangregorio


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