Sei stesa di schiena, con
il volto tuffato in un morbido groviglio arruffato appena sopra la tua
spalla sinistra.
Volgi lo sguardo a me che ti osservo, ma non vuoi posarti su di me, no. I tuoi
occhi sono rivolti altrove, lontani, distanti dalla realtà, tanto che mi
preoccuperei se non ti sapessi nelle braccia del tuo amato Morfeo. Dormi
con gli occhi socchiusi, come a volerti destare a momenti da un
sonno incerto, instabile, tumultuoso e nascondi il tuo corpo sotto le
lenzuola, la tua protezione di neve. E quelle candide pieghe ti delineano
le forme, accarezzano i piccoli piedi e salgono lungo le gambe sinuose,
che forse accavalli nell’agitazione della notte, e, quasi centellinando di baci
il morbido ventre,
arrivano a sfiorare le tenere vette del petto e le braccia rannicchiate accanto
al busto.
Tutt’intorno il mondo pare
riscuotersi dal torpore del buio sotto un cielo che si sveste lentamente del
nero, lava via la notte con un timido spruzzo di rugiada e sceglie quali colori
sfoggiare al nuovo giorno che bussa alla porta. Prova tutte le sfumature
esistenti quel frivolo cielo dubbioso, ma alla fine semplicemente indossa
quelle che più gli vanno a genio al momento, prima che la successiva ora dell’alba
gli imponga una nuova tinta che brama più vivacità della precedente. E proprio
quando arrossisce all’arrivo del sole, i miei occhi faticano a osservarti come
prima. La luce si scaglia alle tue spalle e ti getta in un’ombra bluastra. Non
scorgo più i tuoi occhi, la cima del naso, i due impercettibili solchi che
troneggiano le labbra, che anche non vedo, ma che ricordo bene carnose e precise,
rosse di vino. Tra gli squillanti uccellini e il borbottare pacato del vento si
nota soltanto la tua imponente sagoma di regina, di dea marmorea, scolpita
nella roccia di alte montagne, a strapiombo sui boschi silenziosi ma brulicanti
di vita, sui sentieri nascosti fra le dita delle tue mani, fra i capelli della
tua chioma. Passerà ancora del tempo da questo tuo risveglio e il cinguettare
dei pulcini in attesa della loro mamma sarà ancora il dolce sottofondo della
mattinata di molte altre persone
al di fuori di me nella città infreddolita che si accende ai tuoi piedi e
desidera toccarti, accalcandosi in case, strade, vicoli, piazze, ma che nel
momento in cui più si avvicina perde fiducia e, come all’amante tremano le
gambe a vedere l’amata, così quella si sfolla, si fa rada e ti lascia in compagnia
solo di piccoli paesi dalle mura di pietra. Tu non ti offendi e non ti sdegni
ma li accogli, madre senza memoria che ama anche i torti dei figli. E così
continui a fingere di dormire, socchiudendo ancora gli occhi che però ora son
vigili, attenti alla vita che si sprigiona sotto di te.
Tornerai alle tranquille
carezze del tuo amante solo dopo esserti cullata a sufficienza nella ninna nanna
della tua bella città, quando le auto quindi si saranno stancate per questo
giorno di mangiare l’asfalto, quando i bambini avranno abbandonato finalmente
il pallone e qualcuno sotto le stelle avrà cominciato a fare l’amore, quando l’ultimo
barista dell’ultimo bar avrà abbassato la saracinesca e le luci al neon si
saranno spente anche nei vicoli più nascosti. Rimboccherai a quel punto le
coperte a tutti e la notte calerà anche sui tuoi occhi stanchi per altre poche
ore di sogno. Io resto sveglia ancora un po’ e ti spio. Cerco in te tracce
della donna che sei stata, della vita che ti sei fatta scorrere addosso, che ti
ha visto bimba, ragazza, donna bella e forte, forse mamma. Cerco tra il bianco sporco
dei tuoi capelli sul cuscino qualche segno dell’oro d’un tempo. Ti immagino
strega che abbraccia il noce con una danza delirante o dea trasformata in
roccia per l’ira di una moglie tradita, rea forse di una colpa che, come molte
donne, non ha nemmeno commesso. Oppure ti vedo eroina d’amore e di arco,
vincitrice di uomini e belve che, vicina alla morte che porta all’oblio, ha
preferito stendersi dolcemente accanto ai focolari delle case cittadine e lì
diventare dormiente per l’eternità.
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