martedì 6 aprile 2021

Marta Mazzeo - Chiamando il gatto...

 


Da qualche giorno, si sta sentendo parlare molto in Italia della tematica del “cat-calling”, letteralmente “chiamando il gatto” , in quanto comprende, per definizione, l’insieme di commenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi e avance sessuali in aree pubbliche, proprio come se ci si rivolgesse a degli animali; tali commenti, tuttavia, non devono forzatamente presentare una connotazione sessuale per risultare offensivi in egual maniera; infatti spesso prevedono insulti perlopiù omofobi, transfobici, nonché razzisti o addirittura volti a discriminare le disabilità e la religione, così come la classe sociale d’appartenenza. Il cat-calling è un fenomeno purtroppo assai diffuso e sta vivendo in quest’era un importante incremento, risultando così una gabbia per le persone discriminate, la cui maggioranza, come ci suggeriscono le statistiche, è composta da donne, perlopiù adolescenti di età compresa tra i 14 e i 28 anni: dunque, in un periodo di formazione e di conoscenza di se stessi, in cui si è alla continua ricerca di stimoli, si è tenuti a dover subire insulti, offese, ingiurie, nel migliore dei casi (poiché il termine “cat-calling” può essere utilizzato anche per riferirsi a calci e spintoni che degenerano spesso in vere e proprie risse), sentendosi impotenti di fronte a ciò, in quanto in Italia, nel 2021, non vi è ancora alcuna legge che consenta punire tale comportamento. Diversamente, in altri Stati Europei, come per esempio la Francia, dal 2018 il reato di cat-calling su strade o mezzi di trasporto pubblico è punibile con multe che ammontano a circa 750 euro; il conto diverrebbe tuttavia più salato, qualora si trattasse di un comportamento aggressivo con risvolti fisici. In Perù, invece, vigono leggi contro simili pratiche dal marzo 2015, e gli Stati Uniti vantano varie leggi che riguardano le molestie di strada, così come molti altri Paesi. 

L’ultima denuncia riguardante il cosiddetto “cat-calling” arriva da un personaggio noto, Aurora Ramazzotti, figlia dell’attrice e presentatrice Michelle Hunziker e del cantautore Eros Ramazzotti, la quale si è sfogata nelle storie Instagram ammettendo di essere stanca di subire continue molestie verbali: la ragazza racconta di essere stata vittima, da parte di alcuni uomini, di fischi e commenti sessisti di ritorno da una corsa, pur essendo per l’appunto in tenuta ginnica (sottolineando ciò, ha voluto precedere l’onda mediatica di commenti volti a criticare il look e a giustificare il comportamento degli uomini, che si sarebbe scatenata qualora lei avesse indossato una gonna, nonché un abito attillato). È sconvolgente ciò che è emerso dalle opinioni riguardanti l’accaduto, molte delle quali rivolte contro Aurora: si è sostenuto che i fischi, le urla, gli insulti provocatori non siano altro che complimenti, apprezzamenti che tuttavia dovrebbero far sentire la donna lusingata. Ci insegna la storia, però, che già nel Settecento il termine “cat-calling” aveva il significato di "grido, suono simile a un lamento" e indicava rispettivamente l’atto di fischiare a teatro gli artisti sgraditi e il fischio di disapprovazione stesso. In che modo ciò dovrebbe non risultare volgare ma addirittura far sentire una persona apprezzata? Indipendentemente dal dibattito riguardo tale quesito, noi donne, così come coloro che subiscono giornalmente aggressioni verbali simili, in quanto esseri umani dovremmo sentirci libere e non dobbiamo, di conseguenza, essere private di tale libertà, per di più da individui che non riescono a vedere il marcio nel proprio comportamento. È assurdo, inoltre, pensare che nel Paese in cui viviamo i comportamenti che dovrebbero essere combattuti vengano  avallati in primis dallo Stato e che dunque non sono punibili legalmente, pur provocando alla vittima momenti di disagio, di fastidio, se non veri e propri traumi. Infine, è ancora più sconcertante il fatto che pesanti offese, insulti, sguardi provocatori, urla e gesti allusivi vengano spacciati per ingenui “complimenti”, quando in realtà hanno il solo intento di “reificare” la vittima, andando a ledere la sua libertà, come già detto in precedenza. In questo caso, si parla di un qualcosa che ci riguarda tutti; infatti non si tratta di una battaglia femminista o della solita polemica che giungerà ben presto nel dimenticatoio: si tratta di rispetto.

Marta Mazzeo


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