sabato 3 aprile 2021

Grazia Vitale - Un paradigma di resilienza: Stephen Hawking

 


Ognuno di noi, lungo il percorso della vita, si trova ad affrontare avversità, talvolta apparentemente insuperabili e molto più grandi di noi. La resilienza  è la capacità di affrontare e superare grandi difficoltà o eventi traumatici, la capacità di reagire in modo positivo, a testa alta, senza lasciarsi scaraventare a terra, la capacità di adattarsi o il cercare di adeguarsi a una situazione di disagio. Inevitabilmente Stephen Hawking non può che essere un esempio a riguardo. «Finché c’è vita c’è speranza». Quale motto di vita migliore? Spesso frasi del genere trovandosi sulla bocca di tutti, perdono di significato, perché sfortunatamente non tutti capiscono che le parole sono macigni o comunque molto spesso non hanno la capacità di attribuire ad esse il giusto peso, andando di conseguenza a rendere banale e di poca importanza cose che in realtà fanno venire i brividi, specialmente se si conosce la storia che c’è dietro e dalla quale derivano morali e insegnamenti o, come in questo caso, esempi di vita. Hawking è stato fra i più autorevoli e conosciuti fisici teorici al mondo, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo e ha contribuito all'elaborazione di numerose teorie fisiche e astronomiche: il multiverso, la formazione ed evoluzione galattica e l’inflazione cosmica.

Nel 1963, arrivò a Cambridge e le accresciute difficoltà nell'uso degli arti lo spinsero a sottoporsi ad accertamenti medici e gli venne diagnosticata una malattia degenerativa dei motoneuroni, che comprometteva la funzione di governo della contrazione muscolare: in particolare si pensò allora alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o a malattia a essa correlata. Hawking ricevette costanti cure e assistenza che gli evitarono l'insufficienza respiratoria e la malnutrizione con disidratazione, e il suo corpo non fu mai sforzato eccessivamente, mantenendo però in attività la mente: questo ha contribuito alla sua lunga sopravvivenza, superiore ai 50 anni.

Un tecnico di Cambridge in questi anni costruì per lui un sintetizzatore vocale che trasformava in suono ciò che Hawking scriveva su un apposito computer, poi collegato alla sedia a rotelle secondo un sistema inventato dal tecnico stesso. In questo modo Hawking riuscì a comunicare, sebbene molto lentamente e con una frequenza di non più di quindici parole al minuto.

Hawking è morto nelle prime ore del mattino del 14 marzo 2018 all’età di 76 anni nella sua casa a Cambridge. Oltre alla straordinaria eredità scientifica, ci ha lasciato qualcosa di molto più importante, ci ha insegnato a non perdere la speranza e a combattere fino alla fine. La sua malattia gli ha stravolto completamente la vita, e ci sono tanti casi nei quali i malati non accettano la malattia, cadendo in depressione senza più riprendersi e dando in escandescenza, cosa che inizialmente è successa anche ad Hawking, ma poi egli ha trovato dentro di sé qualcosa che gli ha permesso di andare avanti: la resilienza. Ci vuole una forza immensa per accettare una malattia (di qualunque origine e genere essa sia), per imparare a conviverci e adeguarsi ai cambiamenti che comporta e impone.

Stephen Hawking è un esempio, ma ci sono tantissime altre persone che nell’anonimato conducono un’esistenza improntata alla resilienza, e solo quando si ha la fortuna di incontrarli ci si sente arricchiti e si capisce quante molteplici stelle brillino di luce propria, e ci si sente addirittura riscaldati dalla luce che emanano.

La speranza è tutto, ma la differenza la facciamo noi: sta nel modo in cui scegliamo di reagire, accettando ciò che di più brutto ci succede senza remarci contro, ma cavalcando l’onda. A volte è l’unico modo per trovare la pace, ma questo non significa assolutamente arrendersi, anzi. Paradossalmente a volte ci vuole più forza per fare spazio nella nostra vita a qualcosa che non ci piace sapendo che combatterlo ci porterebbe via solo energie. È un atto di coraggio, da non confondere con la rassegnazione o l’abbandonarsi a se stessi. Di recente un mio amico mi ha detto qualcosa che reputo estremamente importante: «Non ci resta che guardare sempre in avanti… ogni giorno con occhi diversi, più stanchi ma che non possono chiudersi e vedere il buio per nessun motivo».

E penso sia un messaggio che tutti dovremmo fare nostro, perché la vita è fatta di questo. Ciò che fa la differenza è il nostro modo di reagire alle avversità, il nostro modo di incassare i colpi, piegarci, cadere, soffrire, piangere e strillare fino a non avere più fiato in corpo, ma poi tornare in piedi, anche se barcollando, a non darla vinta a nessun finale che non sia quello che noi vogliamo. Spesso si muore combattendo e purtroppo, altrettanto spesso, quel magico finale non arriva, ma trovare la forza di reagire positivamente e di vivere, sapendo di avere i giorni contati o sapendo già che qual finale per noi non arriverà mai, per me è straordinario. A volte bisognerebbe vivere essendo consapevoli che non abbiamo fatto nulla per meritarci questa vita, e magari a qualcuno che questo tipo di vita lo voleva davvero (vita di cui spesso e volentieri ci lamentiamo) è stata tolta la possibilità di poterla vivere. Forse a volte dovremmo vivere un po' anche per loro.

Dobbiamo essere grati di essere vivi, e quando si presentano difficoltà irte lungo il nostro cammino, quando ci si ritrova a doversi fronteggiare con malattie e similia, penso che la cosa più distruttiva che si possa fare sia considerarsi già morti o trattare qualcuno come se lo fosse: come se già fosse spacciato. Finché c’è vita c’è speranza, e allora smettiamola di darci già per morti! La speranza morirà con noi («Spes ultima dea»), e solo quando saremo noi a morire, questo è il senso. È disarmante vedere come certe cose si comprendano e vengano apprezzate quando ormai è tardi e possono essere solo rimpiante. Se affrontato col sorriso, tutto diventa un po' meno devastante, e finché i nostri occhi saranno in grado di vedere la luce, nulla sarà mai così tanto al buio da non poter essere illuminato.

Grazia Vitale

 



3 commenti:

  1. Profonda, intellettualmente onesta e preparata, acuta, la mia ex alunna Grazia Vitale, sulla sua intelligenza ho mai avuto dubbi.

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  2. Profonda, intellettualmente onesta e preparata, acuta, la mia ex alunna Grazia Vitale, sulla sua intelligenza non ho mai avuto dubbi. Antonio Tommaselli

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